Il “modello italiano” nella lotta alla peste
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Non sono in molti a conoscere la cosiddetta “peste di San Carlo”, che colpì l’Italia settentrionale tra il 1576 e il 1577, causando decine di migliaia di vittime, soprattutto tra Venezia e Milano. A differenza delle ben più note pestilenze del 1348 e del 1630, la più grave epidemia di peste del Cinquecento non possiede un narratore che l’abbia raccontata con la maestria e la notorietà di un Boccaccio o di un Manzoni. Ciò nonostante, le fonti d’archivio sono ricche di informazioni e di suggestioni su questo tragico episodio: dalla viva voce dei testimoni dell’epoca, veniamo a conoscenza di paure, conflitti e rimedi che non sono meno evocativi e vividi dei racconti dei grandi della letteratura italiana.
Il centro dell’epidemia fu il nord Italia. Venezia e Milano, nel Rinascimento, si rivelarono vulnerabili al contagio, per via degli scambi commerciali molto intensi concentrati nelle due città. Misero perciò a punto un sistema di restrizioni e quarantene, nominarono magistrati addetti al controllo della pubblica igiene e allestirono servizi di raccolta delle informazioni, al fine di prevenire i rischi. Non sempre queste misure funzionarono alla perfezione e infine l’epidemia del 1575-1577 si dimostrò devastante. Tuttavia, l’impatto del disastro venne contenuto e si sviluppò anche un coordinamento tra i diversi Stati della penisola: un auspicio che deve valere anche ai nostri giorni.
La peste di San Carlo è nota inoltre per un dato curioso, che ci riguarda da vicino. Fu infatti in quegli anni che si svilupparono mezzi di comunicazione assai simili agli odierni bollettini medici o persino ai giornali. Fogli manoscritti e stampa, a quel tempo, venivano prodotti giornalmente e fatti circolare tra la popolazione per informarla sul numero dei contagi e su eventuali soluzioni per i malati. Ieri come oggi, non mancò la diffusione di fake news per depistare, diffamare e disinformare la gente.
Da un testo di Massimo Rospocher, ricercatore presso l’Istituto Storico Italo-Germanico, e Rosa Salzberg, professoressa di Storia del Rinascimento presso la University of Warwick
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Il centro dell’epidemia fu il nord Italia. Venezia e Milano, nel Rinascimento, si rivelarono vulnerabili al contagio, per via degli scambi commerciali molto intensi concentrati nelle due città. Misero perciò a punto un sistema di restrizioni e quarantene, nominarono magistrati addetti al controllo della pubblica igiene e allestirono servizi di raccolta delle informazioni, al fine di prevenire i rischi. Non sempre queste misure funzionarono alla perfezione e infine l’epidemia del 1575-1577 si dimostrò devastante. Tuttavia, l’impatto del disastro venne contenuto e si sviluppò anche un coordinamento tra i diversi Stati della penisola: un auspicio che deve valere anche ai nostri giorni.
La peste di San Carlo è nota inoltre per un dato curioso, che ci riguarda da vicino. Fu infatti in quegli anni che si svilupparono mezzi di comunicazione assai simili agli odierni bollettini medici o persino ai giornali. Fogli manoscritti e stampa, a quel tempo, venivano prodotti giornalmente e fatti circolare tra la popolazione per informarla sul numero dei contagi e su eventuali soluzioni per i malati. Ieri come oggi, non mancò la diffusione di fake news per depistare, diffamare e disinformare la gente.
Da un testo di Massimo Rospocher, ricercatore presso l’Istituto Storico Italo-Germanico, e Rosa Salzberg, professoressa di Storia del Rinascimento presso la University of Warwick
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