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Episodio 226 - «Caro Roberto, ti racconto com'era il mio sentore scolastico negli Anni Sessanta» | UIV Un Italiano Vero.
Manage episode 290749275 series 2668606
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L'audio su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=KRkrA5vsJqw
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In questo episodio leggo un commento di Axum Verona, caro amico di UIV e mio.
Il commento è relativo a questa diretta: "2° parte - A proposito di perplessità, di frustrazione e di frustrati | UIV" https://youtu.be/wLqKlRop1L4
Ecco il commento:
«Caro Roberto, ti racconto com'era il mio sentore scolastico negli Anni Sessanta. Grazie alla mia cara e perduta sorella, sono andato in prima che sapevo già leggere col dito-cursore e scrivere bene con l'astina, il pennino e l'inchiostro, senza fare disastri, macchie né zampilli. Il mio maestro era, per me, come una divinità. Il suo timbro di voce era una carezza continua. I suoi toni, modulati in base al percorso discorsivo (talvolta autentiche arringhe), erano come una musica che m'incantava. Bastava un suo sguardo diretto per farmi sentire importante e sereno.
Elegantissimo, indossava un completo giacca e cravatta ogni santo giorno, e profumava di lavanda. Rasato in modo perfetto, pettinato come un divo, assumeva, per me, un'aria eterea, incorporea. Non "tuonava" mai, con nessuno, neanche con i più indisciplinati. Se occorreva, si avvicinava e bisbigliava loro, affinché nessuno di noi potesse sentire i predicozzi. Terminava l'intervento con uno sguardo di intesa col capitato, uno sguardo che chiedeva poco: una promessa. Infatti, ci insegnava l'onore del gentiluomo e l'assoluto rispetto per le bambine.
A quei tempi, già in seconda, si doveva affrontare un esame concreto: una prova scritta e una orale. Giacché l'esame era presenziato dal direttore, lui -- il mio maestro -- comunicava con noi con gli sguardi, come fosse un linguaggio in codice. Non tentava di suggerire, bensì ci trasmetteva serenità. Sorrideva in un modo dolcissimo, contenuto ma penetrante, come farebbe un telepatico, se esistessero i telepatici. In terza, giacché eravamo disposti in tre file di banchi, organizzò l'armadio a mo' di cabina elettorale. Fornì ogni fila di un simbolo: rosa, gardenia e lillà. Col senno di poi, ho capito che non poteva usare il garofano sebbene molti lo avessero preferito durante la consultazione dei simboli, decisi a maggioranza relativa. Chi eleggevamo, alzandoci uno alla volta per segnare la scheda nell'armadio, in segreto? I candidati a capofila.
Tre capi di fila risultavano democraticamente come tre capiclasse. Lui, che di capi ne aveva visti fin troppi, anche per strada, soltanto venti anni prima, non voleva un capoclasse unico. Ognuno dei tre si curava dei ragazzi della propria fila; mai un'ingerenza di "sconfinamento". Se "a furor di fila" il capo veniva visto come incapace o inadeguato (al sodo: svogliato) allora si passava a nuova elezione per quell'unica fila. Come avvenivano le proposte di dimissioni del capo sfaticato? Per alzata di mano.
Potrei continuare con una miriade di ricordi, ma penso che questo quadretto sia sufficiente per farti capire quanto sono stato fortunato alle elementari. Anche gli altri maestri e maestre erano come lui, ma come lui non c'era nessuno... ^__^»
Buon ascolto!
Ciao!
rob
Per contattarmi:
unitalianoverob@gmail.com
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«Caro Roberto, ti racconto com'era il mio sentore scolastico negli Anni Sessanta. Grazie alla mia cara e perduta sorella, sono andato in prima che sapevo già leggere col dito-cursore e scrivere bene con l'astina, il pennino e l'inchiostro, senza fare disastri, macchie né zampilli. Il mio maestro era, per me, come una divinità. Il suo timbro di voce era una carezza continua. I suoi toni, modulati in base al percorso discorsivo (talvolta autentiche arringhe), erano come una musica che m'incantava. Bastava un suo sguardo diretto per farmi sentire importante e sereno.
Elegantissimo, indossava un completo giacca e cravatta ogni santo giorno, e profumava di lavanda. Rasato in modo perfetto, pettinato come un divo, assumeva, per me, un'aria eterea, incorporea. Non "tuonava" mai, con nessuno, neanche con i più indisciplinati. Se occorreva, si avvicinava e bisbigliava loro, affinché nessuno di noi potesse sentire i predicozzi. Terminava l'intervento con uno sguardo di intesa col capitato, uno sguardo che chiedeva poco: una promessa. Infatti, ci insegnava l'onore del gentiluomo e l'assoluto rispetto per le bambine.
A quei tempi, già in seconda, si doveva affrontare un esame concreto: una prova scritta e una orale. Giacché l'esame era presenziato dal direttore, lui -- il mio maestro -- comunicava con noi con gli sguardi, come fosse un linguaggio in codice. Non tentava di suggerire, bensì ci trasmetteva serenità. Sorrideva in un modo dolcissimo, contenuto ma penetrante, come farebbe un telepatico, se esistessero i telepatici. In terza, giacché eravamo disposti in tre file di banchi, organizzò l'armadio a mo' di cabina elettorale. Fornì ogni fila di un simbolo: rosa, gardenia e lillà. Col senno di poi, ho capito che non poteva usare il garofano sebbene molti lo avessero preferito durante la consultazione dei simboli, decisi a maggioranza relativa. Chi eleggevamo, alzandoci uno alla volta per segnare la scheda nell'armadio, in segreto? I candidati a capofila.
Tre capi di fila risultavano democraticamente come tre capiclasse. Lui, che di capi ne aveva visti fin troppi, anche per strada, soltanto venti anni prima, non voleva un capoclasse unico. Ognuno dei tre si curava dei ragazzi della propria fila; mai un'ingerenza di "sconfinamento". Se "a furor di fila" il capo veniva visto come incapace o inadeguato (al sodo: svogliato) allora si passava a nuova elezione per quell'unica fila. Come avvenivano le proposte di dimissioni del capo sfaticato? Per alzata di mano.
Potrei continuare con una miriade di ricordi, ma penso che questo quadretto sia sufficiente per farti capire quanto sono stato fortunato alle elementari. Anche gli altri maestri e maestre erano come lui, ma come lui non c'era nessuno... ^__^»
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A quei tempi, già in seconda, si doveva affrontare un esame concreto: una prova scritta e una orale. Giacché l'esame era presenziato dal direttore, lui -- il mio maestro -- comunicava con noi con gli sguardi, come fosse un linguaggio in codice. Non tentava di suggerire, bensì ci trasmetteva serenità. Sorrideva in un modo dolcissimo, contenuto ma penetrante, come farebbe un telepatico, se esistessero i telepatici. In terza, giacché eravamo disposti in tre file di banchi, organizzò l'armadio a mo' di cabina elettorale. Fornì ogni fila di un simbolo: rosa, gardenia e lillà. Col senno di poi, ho capito che non poteva usare il garofano sebbene molti lo avessero preferito durante la consultazione dei simboli, decisi a maggioranza relativa. Chi eleggevamo, alzandoci uno alla volta per segnare la scheda nell'armadio, in segreto? I candidati a capofila.
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